mercoledì, dicembre 18, 2013

Ritorno al passato

Una carissima amica mi ha involontariamente ricordato che esiste questo posto.
Non ho resistito alla tentazione di scrivere qualcosa .... anche se in realtà non ho niente di nuovo da dire..


Grazie Totta :)

giovedì, luglio 05, 2012

Nirvana 1997

riguardavo questo film dopo quasi quindici anni.
Di certo non il migliore di Salvatores, ma questa volta sono riuscito a vederlo senza il filtro della mia passione per la letteratura di Gibson.
Scoprire una versione moderna di John Barleycorn è stata la prima piacevole sorpresa: devo recuperare quella versione che non ha nulla da invidiare a John Renbourn!

La storia in sé è poverina, c'è stata una frase del personaggio principale che mi ha letteralmente sconvolto nella sua semplicità:

la realtà non sopporta di essere guardata negli occhi per questo non basta la ragione per capirla


in questa soporifera giornata lavorativa ora ho un tarlo in testa: farmi una ragione di tale affermazione che sento così mia

venerdì, giugno 15, 2012

Aiku!


hitohi hitoyo-ni Tsuki-wa terazutomo Kanashimi-ni nuretori naku
Waga kaeri misuredo hana-wa chirinubeshi

anche se la luna non si accende ogni giorno, ogni notte, la Gru canta con dolore
Anche se guardo indietro,il fiore perde i petali

martedì, giugno 12, 2012

back to 22"

ammetto che 2 giorni a 15" mi avevano messo in profonda depressione lavorativa.
Ora che mi hanno ridato un 22" funzionante... me felice! ;)

Comunque ci sono altre cose della giornata che mi hanno tirato su il morale: risentito Veridian dopo tanto tempo (fortunatamente tutto bene per lei e consorte), altri contatti rinnovati (con annessa chiacchierata rilassante).

Ieri sera mi sono rivisto "Indiana Jones e l'ultima crociata" .... e alla fine mi sono nuovamente domandato: ma come fa un archeologo a riconoscere "la coppa di un falegname"???????

venerdì, maggio 04, 2012

Quella luce che non c'è più


E tutto torna quieto e pulito
Come una spiaggia di sera dopo una tempesta
Niente più resti o segni sulla battigia nuovamente liscia
Niente più suoni se non di risacca
Niente più luci se non il riflesso della luna

Le risate e le dolci parole
Son diventate eco lontana
Che lentamente, inesorabilmente, si dissolvono
Annegando nel suono di quel mare
nuovamente piatto e calmo

Le carezze ed i baci
Son volati via
Trasportati dal tiepido vento che mi accarezzava
Lasciando un tenue profumo
Che gentilmente si immerge nell’aria salmastra

Anche il sole è infine tramontato
E la luce calda che ricopriva il volto si è spenta
Salendo in cielo, diventando stella
Incastonandosi nello scuro della notte
Eterno, freddo, irraggiungibile ricordo di ciò che è stata

La brezza spinta dal mare è tiepida
Ma non scalda più il mio cuore
Il suo abbraccio è dolce e delicato
Ma non riempie quel vuoto
Che non serve più sia colmato

Ora è buio e tutto tace
Non c’è più la tua luce
Quell’aura che tutto ammantava di bello
E solo acqua salata e non lacrime bagnano il mio volto
Che non ride, ma non riesce più a piangere

Nel mio cuore è rimasto quell’angolino
Vuoto, piccolo e sicuro
Con solide mura alle mie spalle che continuano a reggere
Un angolino dove star seduto
A cercar tra le stelle quella luce che in terra non c’è più

giovedì, maggio 03, 2012

Io non sono così


Io non sono così:
Vile e Meschino
Forte con i deboli
Umile con i forti

Io non voglio essere così
Urlo alla mia anima vuota
Ascoltando una eco
Che non mi convince

Eppure eccomi qua
A guardare di sottecchi
Con un odio sopito dal tempo
Che emerge incontrollato

Ed il ricordo riaffiora:
troppo piccolo per la mia età
troppo debole per difendermi
troppo ingenuo in un modo inaffidabile

Quante volte, quell’anno
Mi sono nascosto alle sue vessazioni
Forte della sua giovane età
E della vile compagnia dei suoi pari

Troppe volte ho sognato
Di schiacciar come verme
Chi rese un anno di vita
Come un vita di umiliazioni

Ed ora eccomi a riconoscerlo
Tra le sue rughe del tempo.
Un tempo che non fu gentile con lui
Un destino, che forse per sua scelta, non è stato benigno come con me

Lo sguardo basso e dimesso
Il vestito che parla di difficoltà
La piccola spesa da pagare
Nell’altra fila vicino a me

Gli sguardi si incontrano
Ed il suo mi riconosce… forse
Il mio lo ignora… guardando oltre
Non concedendo il premio del suo ricordo

Nella mia debolezza ho vissuto sulla riva del fiume
aspettando passare quel cadavere
Guardandolo ora galleggiare
Trasportato inerme dalla corrente della vita

Un godimento amaro e passeggero
Che non mi fa guardare nel riflesso di quell’acqua
Perché ho paura di vedere quel che ci troverei
Non voglio vedere il suo volto fondersi nel mio

IO NON SONO COSI’
NON VOGLIO ESSERLO
Voglio che l’acqua di quel fiume scorra più veloce
E porti via con sé il cadavere di ciò che non voglio sia più mio

venerdì, aprile 27, 2012

A te, mia amica


Grande passione
Infinito cuore
Enorme paura
Malcelato dolore

Ti getti a capofitto
nei più assurdi gorghi
Perché solo tu ne vedi il fondo ed i suoi segreti tesori
dove altri vedono solo oggetti lordi

Costante e martellante
Come per te non ci fosse domani
Ti aggrappi con forza
Fino a farti sanguinar le mani

Son dolori che tristemente accogli
Patimenti che cerchi in modo irrazionale
Come se, per annullar le tue paure,
le ricoprissi sempre con altro male

Quei segni che hai sul corpo,
quelle ferite che porti nell’animo quasi sordo
Non grattare più, smetti di sanguinare
Lascia che il tempo le trasformi in ricordo

Piccolo, dolce scricciolo
Con il cuore troppo grande
Che cerca disperatamente un rifugio
In fredde e desolate lande

Non vuoi mollare il tuo scoglio
Anche se vicino vedi la riva
Perché l’incertezza dell’ignoto è forte
E non ti accorgi di chi di amore suo non ti priva

Non chiuder gli occhi
Non chiuder le porte
Hai un amore al tuo fianco
E più di una amicizia forte

Amicizia vorrei esser io per te
Un orecchio ed una spalla
Una voce ed una risata
Che porge la tua mano al tuo amore che ti vuol tenere a galla

Un amore tempestoso, contrastato e forte
Che più volte hai perso e ritrovato
Ma che è sempre rimasto lì in attesa
e che mai ti ha dimenticato

A Lui ho sempre detto “Aspetta!
Non perder l’occasione di una vita”
Tieni accesa la speranza
Perché con lei sarà infinita

Molla lo scoglio ed esplora l’oceano
Con Lui  al tuo fianco che non ti lascerà annegare
Con Lui che ha paura, ma che non vuole perderti
Perché senza te è una vita che non si può completare

E quando in lontananza,
nel vostro libero navigare,
vedrai una luce che vi saluta
sarà il tuo amico qui, sempre pronto ad ascoltare

Il bambino ed il drago


Ricordo come fosse ieri quel giorno incredibile.
Avevo 10 anni e me ne stavo rintanato nel mio rifugio segreto: il cespuglio sulla collina della fattoria del vecchio Amerin.
Era un luogo disabitato da prima che nascessi, fuori del villaggio. Per raggiungerlo, come al solito, mi ero infradiciato le braghe attraversando il torrente, per non lasciare tracce, come insegnavano i ranger elfici che si fermavano la sera alla taverna a raccontare fantastiche storie di goblin, orchi ed unicorni.
Io stavo sfuggendo a mia zia: un’altra volta arrabbiata perché le avevo mangiato i biscotti che aveva messo sul davanzale a raffreddare.
Avrei passato lì l’intero pomeriggio, aspettando che la furia di zia Anna si scaricasse e che la “punizione” si sarebbe, ancora una volta, limitata ad una bella sgridata, un leggero coppino e una punizione del tipo “a letto senza cena”… per poi venir raggiunto più tardi dalla stessa zia Anna con una tazza di latte caldo e alcuni di quei biscotti così irresistibili che mi hanno sempre reso impaziente… dovevo sempre assaggiarli appena sfornati… non potevo aspettare!

Stesi le braghe ad asciugare sopra il cespuglio: era tarda estate ed il sole avrebbe impiegato poco tempo a fare il suo dovere. Di colpo una forte folata di vento li fece volare per terra, guardai in cielo temendo l’arrivo di un temporale, ma il cielo era senza nuvole… eppure una enorme ombra alle mie spalle coprì me e quasi tutta la cima della collina.
Irrigidito, divenni subito consapevole che c’era qualcosa dietro di me, ma avevo paura a voltarmi: non si era mai sentito parlare di giganti o altri mostri nella zona… di cosa potevo aver paura?
Mi gettai di scatto dentro al mio rifugio-cespuglio annaspando tra le foglie e l’erba in cerca della mia spada di legno… compagna di mille giochi ed unico tesoro che tenevo lì nascosto, e quando la mia mano strinse la pelle che rivestiva l’elsa raccolsi quel poco coraggio, o incoscienza, che avevo e mi voltai urlando ed agitando la lama intagliata nel legno neanche fosse una delle fiammeggianti spade dei Guerrieri Eterni che tante volte avevo finto di brandire nei miei giochi.
Di fronte a me si ergeva in tutta la sua terrificante magnificenza un enorme drago verde delle paludi: leggendaria cavalcatura di cavalieri e il più mistico tra tutte le specie di drago. Le leggende narravano di questi draghi, già letali con il loro soffio infuocato e gli affilati artigli, estremamente abili anche nelle antiche arti magiche… arti che ormai neanche i pochi e potenti maghi del regno riuscivano ad eguagliare.

Avrebbe potuto ridurre in cenere l’intero villaggio in un batter di ciglia con il suo fuoco, o semplicemente scatenare indicibili magie di fulmini e ghiaccio. Invece rimaneva lì in tutti i suoi 20 metri di altezza, in piedi sulle zampe posteriori, con la lunga coda che ondeggiava come un serpente, le ali membranose ripiegate sulla sua schiena e le verdi scaglie che luccicavano al sole pomeridiano.
Mi guardava con una espressione incuriosita: tutt’ora provo ad immaginarmi il suo stupore nel vedere una minuscola pulce armata di spada di legno che non scappava di fronte a lui! A dire il vero non scappavo perché il mio cervello non era più collegato alle gambe: non sapevo se la sensazione di bagnato che avvertivo in basso era ancora dovuta all’acqua del ruscello o ad una eventuale pipì fuoriuscita in maniera incontrollata!

Una voce quasi umana uscì dalle sue fauci, o forse entrò direttamente nella mia testa. Aveva un tono basso, quasi dolce, ma molto incuriosito “Hai davvero intenzione di combattere con quel legnetto? Me?”
Di colpo l’imbarazzo di quella affermazione prese il sopravvento sulla paura, o meglio una nuova paura mi assalì: che si fosse offeso perché lo volevo attaccare?
Gettai alle spalle la mia spada e nascosi le mani dietro la schiena con lo stesso sguardo atterrito che di solito usavo quando venivo preso in flagrante a combinarne una delle mie da mia madre.
Riuscii solo a far uscire un flebile lamento, con le lacrime che iniziarono a sgorgarmi dagli occhi “ No…. Giuro di No…. Per favore… non mangiarmi..”
Dalla gola del drago uscì un verso basso e gutturale… stava forse ridendo? Il suo lungo collo si abbassò e la sua testa si avvicino lentamente alla mia faccia “ Mangiarti? No, no… no: ho mangiato un cervo alcuni giorni fa e sicuramente non avrò appetito per altri giorni ancora…” , poi si fermò a pochi centimetri da me e mostrò una enorme fila di denti bianchi ed aguzzi, alcuni più grossi di me “.. e poi sei così piccolino e tutto ossa che non mi faresti neanche da spuntino!” .
Mi afflosciai terrorizzato al suolo: ero sicuro che l’umido che ora sentivo in basso NON era l’acqua del ruscello.
Il drago rialzò la testa ed emise nuovamente quel suono rauco e gutturale, questa volta agitando forte la coda sul terreno: si stava prendendo gioco di me!
Il drago si abbassò sulle quattro zampe,  appoggiò delicatamente la testa sull’erba a pochi metri da me e proseguì “Non temere, cucciolo d’uomo, non ho intenzione di farti alcun male: sto invecchiando e non ti avevo visto mentre atterravo. Sono giorni che sono in volo e questa collina mi era sembrata il posto perfetto per riposarmi un po’”.
Non so se fosse stata magia o altro, ma la paura svanì, mi misi in ginocchio vicino a quelle enormi fauci e iniziai ad osservare meglio quell’enorme creatura che non sembrava più una minaccia incombente, ma solo una stupefacente meraviglia da ammirare.

Presi a camminare intorno al drago, osservandone i dettagli delle scaglie, il nero degli artigli, la potenza vibrante di ogni suo muscolo. Avvertivo distintamente una potente aura magica che lo avvolgeva e che mi investiva in continue ondate.
“Tutti i draghi sono grossi come te?”, la sua testa mi seguiva in quel giro e le risposte non si facevano attendere “Noi Draghi delle paludi di Tenhea siamo tra i più grandi della nostra razza”, sentii una nota di orgoglio in quella affermazione, ma non mi soffermai più di tanto, tante erano le cose che volevo sapere “Ma davvero ti basta un cervo per sfamarti? Non che non basti a me… già una sola bistecca mi riempie per tutta la giornata…. Hai mai combattuto nelle grandi guerre? Devono essere state delle battaglie epiche…Ma in battaglia usavi solo il fuoco del tuo soffio o anche la magia? Ma puoi sputare solo fuoco? Mi fai vedere un incantesimo di Pioggia di fuoco o di Fulmine magico?... si, ma non qua…là in fondo su quelle rocce… magari le riesci anche a fondere…” continuavo ad investirlo di domande saltando da un argomento all’altro senza un filo logico: erano così tante le cose che volevo sapere, che avevo sognato…e non mi pareva vero di poter raccontare agli amici di aver parlato con un drago e che magari mi aveva portato in volo sul suo dorso!
La voce del drago aveva un tono, se possibile, ancora più curioso del mio “ Siamo grossi, ma non ci serve molto da mangiare… No, nessuna guerra né di umani né di draghi: solo qualche discussione in gioventù con qualche borioso drago blu.. ma niente di serio…. Posso soffiare fuoco o il veleno delle Paludi… No: la magia è una cosa seria e non vedo perché distruggere quella roccia solo per far felice un cucciolo d’uomo…” L’ultima frase parve leggermente stizzita, poi riabbassò la testa e , gentilmente, con la coda mi ricondusse di fronte a lui “Ma fai sempre tutte queste domande? Come fa l’aria ad entrare nel tuo corpo se ne fai uscire così tanta tutta in una volta?”.
Abbassai gli occhi imbarazzato: mia mamma lo diceva sempre che mi comportavo sempre in maniera maleducata asfissiando le persone con le mie domande.
Mi sedetti nuovamente di fronte al suo muso “Hai ragione, scusami. Intanto mi presento: mi chiamo Martin e vivo in quel villaggio poco più sotto, dopo il torrente.. e tu… sei?”
Il drago socchiuse gli occhi e sbuffò leggermente “il mio vero nome non saresti in grado di pronunciarlo, ma, una volta, un mago mi diede il nome Phestus e ormai lo calzo da così tanti anni che lo conosco meglio del mio vero.”
Il nome mi era assolutamente sconosciuto, ma l’affermazione tanti anni mi aveva incuriosito “Quanti anni hai? E’ vero che i draghi non muoiono mai di vecchiaia? Io devo compierne dieci tra qualche mese…”
Il drago, a sentir parlare di età si stiracchiò, erse nuovamente la testa sopra di me, ma il suo sguardo divenne chiaramente lucido, quasi affettuoso “Dieci anni? Sei proprio un cucciolo! Io ne ho quasi trecento volte di più e potrei viverne centinaia ancora…”, poi il tono si fece triste “… ma sono un po’ stanco e sto facendo questo viaggio proprio per andarmi a riposare”.
Capii che avevo chiesto qualcosa di non piacevole, ma non riuscii a trattenere la mia curiosità “ E dove stai andando? Un cimitero dove i draghi vanno a morire? Un’isola sperduta che solo voi draghi potete visitare?”. Probabilmente Phestus capì ed accettò la mia infantile irruenza e rispose gentilmente “Sto andando in un luogo speciale che, nell’antica lingua dei draghi, si chiama Sha-Nra thora deluso : il luogo del lungo riposo. Non vado a morire come fate voi uomini: semplicemente raggiungerò l’inizio di un nuovo viaggio in un altro posto.”
Passai l’intero pomeriggio ad ascoltare i suoi racconti di posti fantastici, creature terribili e magie incredibili, e solo quando il sole era ormai del tutto tramontato realizzai che probabilmente i miei genitori mi stavano cercando chissà da quanto tempo.
“Ohhh accidenti! Stasera una lavata di testa non me la toglie nessuno!”, mi alzai e rimisi le braghe da tempo asciutte. Notai per terra una piccola scaglia verde, grossa come la mia mano, guardai Phestus come per chiedere il permesso. Lui socchiuse gli occhi “tienila come mio ricordo, mio giovane e curioso amico”. La sollevai delicatamente: era esagonale, perfettamente liscia e di un verde smeraldo “Grazie….ora però… devo proprio andare, ma domani mattina presto posso tornare .. o al massimo, se sarò in punizione, sgattaiolerò fuori di nascosto: ti troverò ancora qua?”. Il drago si erse in tutta la sua magnificenza e spiegò le enormi ali “No: è tempo per me di ripartire e riprendere il cielo”. Guardai il cielo che stava lentamente passando attraverso tutti i colori del blu e nel quale le prime stelle facevano capolino “Ti invidio: almeno una volta mi sarebbe piaciuto volare…”. Il drago chinò il capo e disse “ … e io invidio te: hai qualcosa che vorrei provare io, ma che capirai solo quando l’avrai provata in pieno”. Con un singolo battito di ali si staccò da terra ed in pochi istanti scomparve all’orizzonte.

Sono ormai passati tanti anni da quell’incontro, un incontro che ha notevolmente influito sulla mia vita.
Ho girato il mondo, alla ricerca di quei fantastici posti, ho combattuto le mie guerre, amato donne, sofferto e pianto. Ho avuto dei figli, che a loro volta mi hanno dato dei nipoti e, forse, riuscirò a conoscere anche un pronipote.
Alla fine sono tornato qua, dove tutto è iniziato, a finire i miei giorni… finalmente comprendendo cosa quel possente drago potesse invidiare ad un bimbo… ad un essere umano: in quelli che per lui erano solo attimi, i lunghi anni della mia vita, ho vissuto in pieno tutto ciò che potevo, godendone nella consapevolezza della mia caducità, del mio poco tempo rendendo ogni singolo momento un qualcosa di unico, di nuovo, di intenso… qualcosa che, nelle migliaia di anni che aveva vissuto, non era mai riuscito ad assaporare.